{mosimage}Il Cavaliere oggi vola a Milano per un chiarimento con la moglie dopo le critiche sulle candidate-veline
ROMA – Non sapeva se ridere o disperarsi, Enrico Letta: «Stanno per arrivare dati terrificanti sul fabbisogno dello Stato, e di cosa si parla? Di 'papi'». Perché in effetti non si parlava d’altro ieri in Parlamento, della diciottenne Noemi che chiama Berlusconi «papi» e dell’ennesima sfuriata di Veronica Lario contro il marito. Ma per quanto possa apparire paradossale non c’è differenza tra questa storia d’interno familiare e i conti dello Stato, perché lo scontro tra il premier e la sua consorte è un affare di Stato nel sistema della seconda Repubblica.
Così la «dynasty all’italiana» si è prepotentemente infilata nelle dinamiche politiche. All’ombra di una lite privata sulla suddivisione dell’asse ereditario— con Berlusconi a dir poco irritato con la moglie, «la signora», che starebbe cercando di «mettermi contro i figli» — si sono prodotti effetti sul Pdl e sul governo, con ministri e dirigenti di partito preoccupati per i contraccolpi d’immagine alla vigilia delle elezioni. Perché dopo il 25 aprile il Cavaliere è schizzato ben oltre il 73% nella fiducia degli italiani e il suo partito nei rilevamenti ha raggiunto «quota 45%». Insomma, il rischio che la lite recasse danni c’era. Non a caso ieri mattina il Cavaliere ha commissionato subito un sondaggio, dal quale — così ha spiegato in serata ai suoi — «sono uscito vincitore». Gli italiani sarebbero dalla sua parte, «stavolta non dovrò chiedere scusa», come accadde nel 2007 dopo la lettera inviata dalla moglie a Repubblica. Tanto basta per capire quanto abbia inciso la faccenda privata nelle faccende pubbliche. Ecco perché martedì — venuto a sapere in mattinata delle intenzioni della moglie — Berlusconi aveva invano tentato di evitare che la questione esplodesse. Ecco perché oggi avrebbe intenzione di volare a Milano. Ecco il motivo per cui sarebbe saltato il pranzo con Fini. D’altronde non sarebbe stata una colazione serena, dato che Berlusconi aveva il dente avvelenato con il presidente della Camera, perché la sua fondazione, Farefuturo, con un articolo aveva sparato a zero sulle «veline in lista», prima che la moglie lo attaccasse.
Quando poi la signora Lario ha fatto riferimento proprio a quell’articolo, apriti cielo. È vero che Fini aveva in parte rettificato il tiro di Farefuturo, ed è vero che le liste del Pdl all’ultimo momento sono state in parte sbianchettate, «ma le candidature — racconta il coordinatore Verdini — erano concordate, Gianfranco ne era a conoscenza. Più volte l’ho sentito in questi giorni». La Russa conferma la versione del collega, «eravamo d’accordo su tutto, anche perché avevamo potere di veto sulle proposte ». Il ministro della Difesa, chiamato spesso a fare da pompiere tra il Cavaliere e Fini, ci prova anche stavolta: «A parte il fatto che Gianfranco ha preso subito le distanze dall’articolo di Farefuturo, Silvio non ce l’ha con lui. Diciamo che gli attribuisce una sorta di 'responsabilità oggettiva', come accade alle squadre di calcio che devono rispondere del comportamento dei tifosi sugli spalti». Sarà, ma ciò non basta a placare l’ira del premier, pronto a sfidare tutto e tutti, facendo campagna elettorale «con le veline a fianco»: «Ho chiesto dei giovani perché non volevo che le liste fossero inzeppate dai soliti noti, per di più d’età avanzata. Mentre il Pd candida Berlinguer e Cofferati, alla faccia del rinnovamento. Ed è spregevole quello che hanno detto sul conto di alcune ragazze. La stessa cosa l’avevano fatta con Mara Carfagna. E poi…». E poi Franceschini ha riconosciuto che verso la ministra «gli uomini hanno mostrato tutto il loro razzismo inconsapevole, il loro maschilismo ». Insomma, dirà pure «cose sbagliate » ma è «preparata». Non erano tuttavia solo le «veline in lista» il motivo del dissidio tra Berlusconi e sua moglie, e se la «dynasty all’italiana » è diventata un affare di Stato, è proprio il leader del Pd che l’ha spiegato nell’intervista alla Stampa, quando ha gettato lì che «dopo Silvio ci sarà Pier Silvio
Non era una battuta, c’era dietro un ragionamento sul sistema presidenziale caro al Cavaliere, e che riproduce il modello statunitense, dove da decenni le grandi famiglie si contendono la Casa Bianca: dai Kennedy, ai Bush, ai Clinton. Ecco perché ieri non si parlava d’altro in Parlamento, nonostante la crisi, l’Abruzzo. E soprattutto il sì del Cavaliere al referendum. Una mossa dirompente. Perché è vero che il 21 giugno difficilmente la consultazione otterrà il quorum, ma ci sono alcune variabili che vengono calcolate nel Pdl: insieme al 12% degli italiani che andrebbe a votare per i ballottaggi, c’è un 15% di cittadini legati al referendum. Se poi a sostenerlo ci fossero Berlusconi, Fini e Franceschini… Di qui alle Europee il premier non dirà altro sull’argomento, attenderà il risultato delle urne. E se davvero superasse il 45%, allora potrebbe anche decidere di dare un ulteriore segnale sul referendum. «E se passasse — come dice Cicchitto — sarebbe con quella legge che si andrebbe a votare». Magari in anticipo.
Fonte: www.corriere.it